de-'Lo sguardo dellə smuggler' - In conversazione con Shahram Khosravi

29.07.2023

Lunedi 17 luglio abbiamo avuto il piacere di il Professore Shahram Khosravi a Maldusa Palermo, e di intraprendere una ricca e stimolante conversazione sullo 'smuggling', a partire dall'ultimo libro che ha co-editato insieme a Mahmoud Keshavarz "Seeing Like a Smuggler - Borders from Below" (2022) // "Lo sguardo dellə smuggler/contrabbandierə - Frontiere dal basso". Di seguito una breve riflessione sui temi che abbiamo discusso.

 Negli ultimi anni, con le nostre reti palermitane, tra cui il Feminist Autonomous Centre for Research, la rete Captain Support, Watch-the-Med Alarm Phone, i ragazzi Baye Fall, lo Sportello Sans Papier dell'Arci Porco Rosso e, più recentemente, il progetto Maldusa, abbiamo discusso del rapporto tra le lotte contro le frontiere, la repressione delle persone in movimento e la criminalizzazione di qualsiasi forma di facilitazione alla libertà di movimento.

Lunedì 17 luglio abbiamo avuto il piacere di ospitare il professor Shahram Khosravi e di intraprendere una ricca e stimolante conversazione sullo 'smuggling', a partire dall'ultimo libro che ha co-editato insieme a Mahmoud Keshavarz "Seeing Like a Smuggler - Borders from Below" (2022) // "Lo sguardo dellə smuggler/contrabbandierə - Frontiere dal basso".

Al centro della nostra conversazione c'erano le questioni delle storie singole pericolose (ispirate da Chimamanda Adichie) e delle dicotomie create dagli Stati e dai regimi di frontiera per "esternalizzare", come sostiene Shahram Khosravi, i problemi creati dalla violenza di confine. Questo processo di mistificazione da parte dello Stato, spesso legittimato dal linguaggio della "protezione" (dei confini, delle comunità, delle donne vulnerabili in movimento), è una potente tattica coloniale per distorcere la nostra immaginazione, la nostra comprensione di realtà complesse e per centrare la logica e lo sguardo dello Stato come l'unica (legittima). Tutto ciò che devia o sfida questa logica, secondo Khosravi, è classificato come illegale, illecito, pericoloso e degno di essere criminalizzato.

È il caso dellə cosiddettə smugglers/contrabbandierə, persone che forniscono servizi illegalizzati a chi attraversa le frontiere, spesso persone che costruiscono reti di solidarietà, assistenza e sostegno per chi cerca di sopravvivere alla violenza delle frontiere.

Guardare come unə contrabbandiere, come unə conducente di barca, unə passeur, una guida 'che conosce la strada', come unə fornitricə di servizi attraverso e contro le frontiere, riposiziona il nostro sguardo. 

Piuttosto che la violenza e lo sfruttamento, possiamo vedere - con lo sguardo dellə smugglers/contrabbandierə - come queste pratiche possano configurarsi come una lotta socio-politica. Secondo un contrabbandiere intervistato da Shahram Khosravi, piuttosto che essere loro a saccheggiare, i contrabbandieri si schierano a favore di coloro a cui sono state saccheggiate ricchezza, vita e libertà. E lə aiutano a riprendersele. 

Allora perché è una questione femminista, ci chiediamo? La nostra conversazione è iniziata con Shahram Khosravi che citava la nostra amata Angela Davis: "Quando le donne si alzano, si alzano per tuttə". Il femminismo ci permette di produrre conoscenza al di fuori dello sguardo dominante, per lo più maschile, incentrato sullo Stato. Ci permette di guardare dal basso e di parlare dal basso, sviluppando nuovi linguaggi e nuovi immaginari. Il femminismo, come ha detto poeticamente Shahram Khosravi, ci permette di smontare la mistificazione che presenta ciò che è mosso dall'odio come la detenzione, la deportazione e i controlli alle frontiere come se fosse qualcosa mosso dall'amore (per le nazioni). 

Questo sguardo dal basso, lo sguardo dellə smuggler/contrabbandierə, ha spiegato Shahram Khosravi, ci permette di modificare il nostro modo di vedere e di ascoltare, per capire che il contrabbando esiste solo perché esistono le frontiere. Rivela che quelle forme di violenza interpersonale ed eventualmente di coercizione che a volte sono associate al contrabbando, sono il risultato diretto della crescente militarizzazione dei confini. 

Una domanda associata che emerge nel libro, che ha informato la nostra conversazione e che è fondamentale sia per le nostre lotte quotidiane contro le frontiere sia per la decriminalizzazione della facilitazione della migrazione, è: "E le vittime"? E qui il femminismo, o almeno quel femminismo orientato verso l'abolizione delle frontiere e delle prigioni, ci torna utile di nuovo.

La guerra allə smugglers/contrabbandierə è in effetti informata da narrazioni incentrate sullo Stato, in cui lə smuggler, pericolosə criminale, sfrutta e danneggia persone vulnerabili che si suppone siano alla sua mercé. Il discorso della protezione di donne-e-bambini è spesso mobilitato per legittimare l'intensificazione dei controlli alle frontiere, l'aumento della militarizzazione e l'uso "legittimo" della violenza, al fine di proteggere le vittime vulnerabili. Qui lo Stato esercita il ruolo di protettore, quella protezione patriarcale che in realtà non protegge, ma controlla, detiene, deporta e uccide quotidianamente "donne e bambini" e uomini.
Abbiamo bisogno di un'analisi femminista per decostruire le narrazioni "di soggetti vulnerabili che hanno bisogno di protezione" qui mobilitate, riconoscendo allo stesso tempo le forme di vittimizzazione a cui sono sottopostə, a causa della violenza dello Stato e dell'ingiustizia globale (per ulteriori risorse su questi punti, si veda il corso online di FAC research sull'argomento). 

Durante la nostra conversazione è emerso chiaramente che abbiamo bisogno di una lotta femminista per contrastare il modo in cui i femminismi coloniali, bianchi e carcerali legittimano la guerra, la violenza e l'uccisione in nome della protezione delle donne da uomini non europei, non bianchi - e quindi immediatamente classificati come pericolosi. Questo sedicente femminismo non solo è razzista, ma è anche sessista. Per contrastarlo, dobbiamo riconoscere e rendere visibile, dal basso, il coraggio e l'esistenza delle persone nei loro movimenti attraverso, contro e nonostante le ingiustizie da parte dello Stato e dei suoi confini di cui sono vittime.

Stiamo forse facendo del romanticismo sullə smuggler/contrabbandierə? Secondo Shahram Khosravi non c'è alcun rischio di romanticizzazione. Ogni giorno, ha spiegato, ascoltiamo singole storie che legittimano la violenza. Quello che stiamo facendo qui non è romanticizzare, ma presentare una narrazione più complessa e ribaltare la singola storia della violenza. Parte della lotta consiste nel sovvertire una narrazione egemonica per cui le deportazioni non sono violenza, ma l'attraversamento della frontiera per chiedere asilo sì; la narrazione per cui lo Stato israeliano che uccide lə palestinesi non è violento, ma lo è l'uomo palestinese che lancia una pietra.

Quindi come andiamo avanti, ripartendo da queste riflessioni? Continuiamo a collegare le nostre lotte, poiché il femminismo non può definirsi un movimento di liberazione se non è anche collegato alle lotte contro le frontiere, contro tutte le prigioni, contro il razzismo e tutte le narrazioni, categorie e storie singole imposte dallo Stato. Continuiamo a espandere le lotte contro l'immaginario che ci viene imposto e per costruire immaginari alternativi, come suggerisce Shahram Khosravi. 

E lo facciamo continuando a bruciare i confini e i loro sistemi di classificazione, invece di cercare di inserire più persone al loro interno, immaginando e praticando un mondo senza confini e senza gabbie. Non solo guardando come smugglers/ contrabbandierə, ma anche agendo come smugglers/contrabbandierə e facilitando la libertà di movimento per tuttə.